«Riconoscendoci parte del Terzo Mondo vuol dire, parafrasando José Martì, affermare che sentiamo sulla nostra guancia ogni schiaffo inflitto contro ciascun essere umano nel mondo. Finora abbiamo porto l’altra guancia, gli schiaffi sono stati raddoppiati. […] Ebbene, i nostri occhi si sono aperti alla lotta di classe, non riceveremo più schiaffi.»
Thomas Sankara
Thomas Sankara è stato un militare e politico burkinabé, considerato un simbolo di rivoluzione e di lotta contro la corruzione e il nepotismo. Nato nel 1949, è stato uno dei pochi fortunati ad avere accesso all’istruzione fin da bambino. In adolescenza due eventi segnarono per sempre la sua vita: l’avvicinamento all’ideologia Marxista, e l’incontro con Blaise Compaorè, con il quale instaurò un rapporto di fraterna amicizia.
Nel 1983 a seguito di un golpe Sankara divenne il nuovo capo dello stato di Alto Volta, a cui cambierà il nome in Burkina Faso: “Paese degli uomini integri”. Guidò il Paese come presidente per 4 anni, durante i quali intraprese una serie di riforme sociali e politiche rivoluzionarie volte a ridurre la povertà e promuovere l’emancipazione delle donne.
Considerato il Che Guevara africano, la sua visione e la sua leadership hanno ispirato molte persone in Africa e in tutto il mondo. L’incipit dell’articolo è un estratto del discorso tenuto da Thomas Sankara il 4 ottobre 1984 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il Burkina Faso è un piccolo stato agricolo e saheliano situato nel cuore dell’Africa Occidentale, confinante con Costa d’Avorio, Mali, Ghana, Togo, Benin e Niger. Ex colonia francese, poco ex, ancora oggi sottomessa al giogo del capitalismo multinazionale.
La capitale del Burkina Faso è Ouagadougou, governata dal 1987 dal fratello d’armi di Sankara: Blaise Compaorè. Colui che dopo averlo sostenuto nell’ascesa al potere, non ci ha pensato due volte a sparargli al petto e prendere il suo posto. L’amicizia, a volte, può essere comprata con i diamanti.
Christian Carmosino Mereu è un regista, produttore e docente. Ha realizzato documentari e cortometraggi che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Da oltre 20 anni organizza eventi cinematografici in Italia e all’estero e ha lavorato come direttore artistico, organizzatore e selezionatore di diversi festival.
Il 27 ottobre di quel 2014 si trova proprio nella piazza di Ouagadougou, teatro di manifestazioni di massa contro una dittatura al potere da 27 anni. Accidentalmente coinvolto in un’insurrezione non armata, le sue telecamere riprendono chiaramente la risposta di fuoco dell’esercito.
Più volte cercarono di convincerlo ad abbandonare il paese, rischiava di viversi una situazione pericolosa, potenzialmente fatale. Invece Carmosino decide di assistere, di partecipare attivamente alla rivolta popolare, in maniera non neutrale. Questo è l’inizio del suo viaggio all’interno della rivoluzione burkinabè.
Nel 2015 il Paese vota liberamente, per la prima volta nella sua storia. Carmosino si trova in Burkina Faso anche stavolta, per realizzare un reportage per la televisione. Ma qualcosa è cambiato. Insieme a lui in Burkina Faso sono tornate nuove idee, un progetto: Il paese delle persone integre.
Il documentario segue l’esperienza di lotta e resistenza di quattro burkinabè, scesi in campo per attuare un vero cambiamento. Un processo fragile, che si promette di abbattere quel regime che va avanti da anni, di sfruttamento economico del Paese da parte delle compagnie straniere.
Un musicista rivoluzionario, un ingegnere candidato alle elezioni, un minatore disoccupato per via del suo impegno politico e una madre in una famiglia povera e numerosa della capitale Ouagadougou sono i protagonisti. Tutti accomunati da una speranza di cambiamento che si condensa nell’importante scadenza elettorale di fine anno.
Lo scopo del progetto è quello di raccontare il paese attraverso lo sguardo di chi ci vive e subisce le nostre politiche economiche. Personali punti di vista “modernizzatori” in contrasto con il loro ideale di libertà, democrazia e giustizia. Una rivoluzione iniziata da Sankara ormai anni prima.
«La politica dell’aiuto e dell’assistenza internazionale non ha prodotto altro che disorganizzazione e schiavitù permanente, e ci ha derubati del senso di responsabilità per il nostro territorio economico, politico e culturale.»
Il paese delle persone integre, allora, anche concluse le rivolte, rimane vicino ai suoi soggetti, seguendo la loro ricerca di una nuova comunità. Il regista viene colpito da un protagonista in particolare che un giorno lo porta in un bar nel centro di Ouagadougou. È lì che amici, compagni o semplicemente passanti si uniscono e discutono dei migliori modi per attuare un cambiamento duraturo in Burkina Faso.
Guardando le persone discutere in maniera così appassionata, Carmosino ritorna un bambino al Bar Irene di Ventimiglia. Un luogo di crescita personale dove si sente ancora stimolato, esaltato dalla speranza di un cambiamento. Un sentimento che con rammarico non ha più ritrovato in Italia, un paese ormai decaduto nel cinismo.
Ogni scelta registica cerca di rappresentare al meglio il rovesciamento della dittatura in Burkina Faso. I cambiamenti avvenuti in quegli anni però ancora oggi sono messi in discussione. La debolezza del governo sta favorendo l’avanzamento di Al Qaeda e ISIS, che negli ultimi mesi hanno messo sotto attacco la regione causando migliaia di vittime e centinaia di migliaia di sfollati.
Per il regista il Burkina Faso è considerato come una seconda casa. E in questa casa lui non ha trovato la solita rappresentazione di un popolo da assistere, vittima inerme. Al contrario, ha scoperto un’Africa di persone con una grande dignità, intelligenza e capacità che sono ancora oggi sottomesse ai bisogni occidentali, che non gli appartengono.
Quello che Carmosino vuole mostrare al mondo però non è puramente una questione politica, non vuole parlare solo di regimi, lotte e sottomissioni. L’obiettivo è quello di rappresentare un sentimento che è inscindibile dalla popolazione burkinabé: la speranza nel cambiamento.
Il paese delle persone integre è la scoperta di una fiducia e ottimismo che noi europei abbiamo dimenticato. Ma che diversamente da noi, questi popoli ne riservano ancora per il futuro. Loro non hanno ancora perso la speranza. E nelle loro rivoluzioni saremo coinvolti anche noi, dobbiamo solo decidere da che parte stare.
«Io non parlo solo in nome del mio Burkina Faso, ma anche di tutti quelli che soffrono in ogni angolo del mondo. Vorremmo abbracciare con le nostre parole tutti quelli che soffrono e la cui dignità è calpestata da un pugno di uomini o da un sistema oppressivo.»
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